giovedì 11 agosto 2011

Globalizzazione: eravamo pronti? No.


Ed eccoci qui, prima settimana di Agosto 2011, i politici europei ed americani a raschiare urgentemente il fondo del barile, cosa necessaria vista la contingente situazione dei mercati, ma che non risolvera’ i grandi problemi delle societa’ occidentali, men che meno in una ottica  di medio-lungo periodo.
Perche’?
Partiamo dal termine “globalizzazione’: cosa vuole dire?
Questa parola, che e’ oggi sulla bocca di tutti, che significato ha, cose sottintende?
Importanti dizionari della lingua italiana ci dicono che significa:
Processo economico di integrazione dell'intera economia mondiale in un unico mercato, con conseguente superamento delle barriere nazionali. Allargamento degli orizzonti culturali, sociali, di costume, allo scenario mondiale.”
“Teoria secondo la quale l'organismo non è la semplice somma delle parti che lo compongono, ma una totalità a essa superiore.“
Si tratta quindi di un processo di integrazione culturale ed economica  nel quale si prefigura che le parti di un organismo tendano a comporre o compongano una totalita’ superiore.
Ci troviamo davvero, oggi,  prossimi a questa auspicabile prospettiva? Si sta convergendo verso una “totalita’” superiore?
No, io penso ne siamo ancora ben lontani, purtroppo..
Tutti i “processi” richiedono tempo, talvolta molto tempo per giungere a compimento e devono essere controllati e regolati nel corso del loro svolgimento per mezzo di interventi correttivi che ne garantiscano il regolare sviluppo evitando traumi ed involuzioni.
Questo non e’ avvenuto.
In campo economico, intendendo l’economia reale che produce beni e li commercializza,
con la repentina apertura dei mercati e la liberalizzazione pressoché incontrollata del commercio internazionale paesi come la Cina, l’India ed altri, che contano meta’ della popolazione mondiale, sono improvvisamente usciti da un limbo secolare.
Hanno iniziato a produrre beni e ad invadere con i loro prodotti i nostri mercati forti di un vantaggio competitivo basato sulla disponibilita’ di una enorme forza lavoro a bassissimo costo  pronta a tutto e priva di tutele e garanzie, sull’uso indiscriminato e continuo di know-how altrui, su processi produttivi incontrollati rispetto a tutela della dignita’ dell’uomo, inquinamento, spreco di risorse naturali, sicurezza del lavoro e tutela del cliente finale.
Cosi’ ci troviamo ad importare e comprare coltelli e forbici che non tagliano, padelle e pentole con manici che si staccano alla seconda cottura , magliette, scarpe e pantaloni
che come minimo irritano la pelle per i coloranti usati, poltrone e divani da buttare dopo sei mesi, pomidoro, peperoni,latte e verdure inquinate, ecc., ecc……ma costano cosi’ poco che… il cittadino occidentale ne trae beneficio e sollievo finanziario rispetto ai prodotti fatti in casa propria. Ciechi, siete ciechi se pensate cosi’, senza considerare che molto probabilmente un vostro zio, cugino, nipote, ecc. hanno perso il loro posto di lavoro per questi motivi?
Il principio dei vasi comunicanti insegna che un fluido si sposta dalla zona a maggior pressione verso quella a minore: questo avviene anche in economia, vale a dire che, in mancanza di controlli e limitazioni, il lavoro e quindi la ricchezza si spostano verso aree
piu’ povere e meno regolamentate.
Se i popoli dell’occidente hanno cristianamente deciso di abbassare repentinamente  il livello del proprio stile di vita, di ridurre il proprio benessere, il welfare, le protezioni sociali e previdenziali alle quali erano abituati in favore di popoli piu’ bisognosi, allora tutto va bene. Non sembra pero’ che sia cosi viste le proteste ed i sommovimenti per la perdita di posti di lavoro, la perdita di potere di acquisto dei salari, l’ aumento delle tasse e delle tariffe, la riduzione dei servizi assistenziali e sanitari, ecc., ecc.
I politici di tutti i paesi occidentali tentano di spiegarci che tutto cio’ e’ dovuto alla crisi finanziaria  degli ultimi anni che dicono essere una crisi globale, cioe’ mondiale. Falso.
La crisi, esplosa  nel 2008, non e’ una crisi globale bensi’ semi-globale. Infatti l’occidente
e’ in crisi, con perdita di posti di lavoro, bassissimi tassi di sviluppo economico e la conseguente insostenibilità degli alti debiti pubblici e degli onerosi costi del welfare, mentre Cina, India, Brasile ed alcuni altri paesi soprattutto dell’area asiatica  sono in continua crescita con tassi di sviluppo di tutto rispetto se non a due cifre.
Si fa un bel dire, bisogna incrementare la ricerca nelle alte tecnologie e prodotti correlati, cosa certamente giusta ma forse dimentichiamo che il grosso dei consumi dei popoli e’ ancora costituito da prodotti non propriamente tecnologici quali generi alimentari, abbigliamento e relativi accessori, arredo ed accessori per la casa, mezzi di trasporto, ecc. in genere di qualita’ medio-bassa dove la ricerca puo’ ben poco, almeno nel breve periodo,
rispetto all’enorme vantaggio competitivo offerto da mano d’opera a bassissimo costo e carenza di regole.
E’ pertanto necessario instaurare strumenti che consentano di controllare e regolare il processo di globalizzazione dell’economia reale, non per fermarlo ma per evitare squilibri eccessivi  e repentini che possono compromettere i delicati equilibri dei paesi sviluppati e danneggiare, nel medio periodo, anche quelli in via di sviluppo.
Questo non vuol dire non essere liberista, cosa che sono, ma  richiamare la politica
alla propria responsabilita’ di indirizzo e regolazione, non interferenza si badi bene, delle attivita’ umane, cosa necessaria come ci ha recentemente ricordato la crisi finanziaria scoppiata nel 2008.
Analogo discorso vale per i processi di globalizzazione od integrazione culturale e sociale, anche questi richiedono tempo e regolazione; millenni di diversita’ culturale, sociale e religiosa non si cancellano “dans l’espace d’un matin”.

 


Nessun commento: